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Società Italiana di gerontologia e geriatria

Documento sulle cure degli anziani e le dichiarazioni anticipate di trattamento

Le questioni ed alcune precisazioni sul dibattito.

Nell´ambito sanitario, compreso ovviamente anche quello geriatrico con le sue peculiaritá, si vengono sempre piú a confrontare diversi fattori che incidono nelle scelte terapeutiche: le potenzialitá tecnico-scientifiche della medicina, i diritti dei pazienti di essere curati, rispettati e coinvolti nelle decisioni, le responsabilitá professionali e legali degli operatori sanitari, le sensibilitá culturali, etiche e religiose che attraversano la societá civile.
Tutto ció pesa sul rapporto tra il medico (e l´intera équipe curante) e il paziente (e la sua famiglia), rapporto che andrebbe sempre piú recuperato in termini di alleanza terapeutica, ossia di relazione, di dialogo, di informazione, che portano alla condivisa decisione terapeutica, nell´incontro tra la competenza, responsabilitá e coscienza del medico e la libertá e coscienza del paziente.

In ambito geriatrico le cose possono presentarsi piú difficili, travagliate, perché il paziente spesso affronta un lento decadimento psico-fisico che necessita di periodiche, diverse valutazioni e decisioni; puó essere confuso e alternare momenti di maggiore o minore luciditá, fino ad essere totalmente incapace di intendere e di volere. Il paziente anziano puó trovarsi in una situazione di totale ″affidamento″ ad altri (familiari e curanti), in una condizione di fragilitá e vulnerabilitá su cui gravano frequentemente fattori ″extra-clinici″ (sociali, strutturali, economici,…). Quindi: come procedere per decisioni terapeutiche difficili, volendo evitare, come giá indica il Codice di Deontologia Medica (art. 16 e 17), forme di accanimento o di eutanasia? Come decidere nel caso in cui il paziente non sia piú in grado di esprimere un chiaro, certo consenso o dissenso alle terapie? Ci possono essere delle volontá espresse ″in precedenza″ da utilizzare in questi casi? Quale forma devono avere? Quali contenuti e quale valenza per il medico? Attorno a queste domande si sta svolgendo un difficile e talora aspro dibattito nel nostro Paese, soprattutto di carattere politicoideologico, che si spera possa ritrovare equilibrio, e portare a soluzioni praticabili e realistiche, ampiamente condivise in un contesto etico pluralistico, rispettose di tutti i soggetti coinvolti in tali problematiche.

A tal proposito é importante anzitutto chiarire i termini usati, ricordando che in Europa l´espressione piú diffusa é quella di ″dichiarazioni anticipate di trattamento″, cioé un documento con il quale una persona, dotata di piena capacitá, esprime la sua volontá circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse piú in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso. Per molti il termine di ″dichiarazioni″ corrisponde meglio al significato di tale volontá rispetto al termine ″direttive″, in quanto la prima é piú orientativa e meno vincolante rispetto alla seconda; ossia con ″dichiarazioni″ si afferma il principio del rispetto della volontá del paziente, ma nel contempo si intende salvaguardare anche il ruolo e l´autonomia del medico, con attenzione alla situazione attuale in cui si deve poi decidere. In inglese spesso si parla di ″living will″ tradotto in italiano come ″testamento biologico″.

Nel dibattito recente italiano, il riferimento alle dichiarazioni anticipate é stato spesso collegato alla questione dell´″accanimento terapeutico″, altro concetto che va chiarito. Un documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, del 1995 riporta questa definizione:″Trattamento di documentata inefficacia in relazione all´obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravositá per il paziente con un´ulteriore sofferenza, in cui l´eccezionalitá dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica″. Si tratta di una valutazione clinica attenta al quadro complessivo del paziente, che comprende elementi oggettivi di carattere medico, ma anche elementi soggettivi legati alla libertá e responsabilitá del malato. Finché la persona é cosciente, é nella relazione medico-paziente che si arriverá alla decisione condivisa da prendere, accettando quanto il paziente, nella sua libertá e autodeterminazione, acconsente o rifiuta.

Qui si apre la questione dell´eventuale rifiuto di terapie efficaci, appropriate, quando il paziente é ancora capace di esprimere la sua volontá, senza introdurre un vero ″diritto a morire″, ma accettando la libertá del paziente. E vi é il problema di come garantire cure e rispetto del malato quando questi non sia piú capace, volendo evitare forme di accanimento ma continuando a offrire vicinanza e assistenza. Infatti, specialmente per il paziente anziano, occorre evitare forme di abbandono e fare in modo che sia sempre salvaguardato il valore della sua vita e la dignitá del suo morire, accompagnando questi processi, cercando di valutare il bene del paziente, anche attraverso eventuali desideri precedentemente espressi.

Risulta tutto piú complesso e delicato quando le decisioni riguardano ″l´assistenza″ e procedure come la nutrizione e idratazione artificiali: queste ultime sono da considerare come veri trattamenti medici (tali sono ritenuti da diverse societá scientifiche) o sono sostanzialmente una ″ordinaria assistenza di base″ (come ritiene il Comitato nazionale di bioetica in un documento del 2005)? E quindi sono sempre da garantire oppure in certi casi possono essere anch´esse sproporzionate? Possono essere oggetto di possibile rifiuto, contenuto nelle dichiarazioni anticipate?

 

 

I riferimenti etico-deontologici

Un testo fondamentale su tale argomento é rappresentato dalla Convenzione sui diritti umani e la Biomedicina del Consiglio di Europa (Convenzione di Oviedo, 4 aprile 2007, ratificata in Italia con Legge n. 145 del 28/03/2001) dove all´articolo 9 si legge ″I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente, che al momento dell´intervento non é in grado di esprimere la sua volontá saranno presi in considerazione (testo inglese: shall be taken into account)″.

Su questa linea si muove il Codice di Deontologia Medica Italiano, che nell´ultima versione del 16/12/2006 ribadisce e chiarisce questo concetto all´art. 38: ″Il medico deve attenersi, nell´ambito dell´autonomia ed indipendenza che caratterizza la professione, alla volontá liberamente espressa dalla persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignitá, della libertá e autonomia della stessa…il medico, se il paziente non é in grado di esprimere la propria volontá, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato″. Si richiamano, quindi, due concetti fondamentali: da una parte l´autonomia ed indipendenza che caratterizzano la professione medica vincolandole comunque a principi etici fondamentali come il rispetto della dignitá e della libertá della persona e, dall´altra parte, la necessitá di verificare che la volontá del paziente sia documentata in modo certo.

Il 18/12/2003 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha approvato un documento sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, del quale si riportano le seguenti raccomandazioni:

  1. Le ″Dichiarazioni″ abbiano carattere pubblico, siano cioé fornite di data, redatte in forma scritta e da soggetti maggiorenni;
  2. Non contengano disposizioni aventi finalitá eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia;
  3. Si auspica che esse siano compilate con l´assistenza di un medico, che puó controfirmarle;
  4. Siano tali da garantire la massima personalizzazione delle volontá del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli.

 

Inoltre il CNB ritiene opportuno che:

  1. il legislatore intervenga esplicitamente in materia;
  2. la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, qualora si discosti da esse nella sua decisione, di esplicitare formalmente in cartella clinica le ragioni di ció;
  3. le dichiarazioni anticipate possano eventualmente indicare i nominativi di uno o piú soggetti fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente;
  4. ove le dichiarazioni anticipate contengano informazioni ″sensibili″ sul piano della privacy, la legge imponga apposite procedure per la loro conservazione e consultazione.

 

 

Alcune considerazioni

A. Le Dichiarazioni potrebbero essere un modo per ″conservare un dialogo″ anche quando il paziente ha perso le proprie capacitá di esprimersi, nella ricerca del suo bene integrale e nel rispetto della dignitá del suo morire. La forma scritta delle Dichiarazioni anticipate va allora intesa in senso positivo, come la possibilitá per il paziente di esprimere la propria visione di vita, i valori, i desideri e i limiti nei confronti delle cure possibili, anche quando non sará piú in grado di manifestare la sua volontá. Puó essere una forma di ″estensione del consenso″, anche se tale concetto puó suscitare qualche perplessitá, quando non si sa in partenza chi sará il curante e il contesto concreto in cui si verificheranno le decisioni da prendere.

B. Un altro punto fondamentale é il richiamo all´obbligo morale e deontologico da parte del medico e dei familiari di tener conto delle Dichiarazioni anticipate, rispettando la volontá espressa dalla persona-paziente. Tale obbligo caratterizza la professione medica, considerando il contesto della situazione clinica in cui viene a trovarsi il paziente, cioé lasciando uno spazio di valutazione da parte del medico che ha in cura la persona. Anche il ruolo e il punto di vista dell´infermiere é importante nel comprendere il quadro clinico in cui si trova il paziente e le modalitá di garantire una buona assistenza nel rispetto dei suoi desideri.

C. E´ un punto cruciale, anche nella definizione legislativa delle Dichiarazioni anticipate, il carattere vincolante o meno delle stesse, vincolo che entrerebbe in tensione con la coscienza e la responsabilitá professionale del medico e con la valutazione del quadro clinico attuale, cioé con le condizioni del paziente e le possibilitá terapeutiche ora presenti, possibilitá talora diverse rispetto a quando sono state formulate le dichiarazioni. Perció, sembra opportuno insistere sull´impegno morale di rispetto delle Dichiarazioni da parte del medico, ma con l´attenzione al contesto clinico concreto. Il bisogno di attualizzazione delle Dichiarazioni (quindi di quando e come vengano ″aggiornate″) e della loro contestualizzazione secondo l´evoluzione clinica del paziente e delle nuove conoscenze terapeutiche sviluppatesi é ricordato anche in un recente intervento del Presidente della FNOMCeO. Rimane aperto il dibattito tra una interpretazione vincolante delle Dichiarazioni, rendendo il medico quasi simile a un ″esecutore testamentario″, e un loro rispetto posto a verifica da parte del medico, cioé intendendo le Dichiarazioni come ″strumento utile″ per decidere, in dialogo col fiduciario, quando il paziente non sia piú capace di un reale consenso/dissenso; e l´eventuale discostarsi da esse, va motivato chiaramente in cartella clinica. La possibilitá di una obiezione di coscienza da parte del medico potrebbe essere presa in considerazione e regolamentata, evitando il rischio di ulteriori complicazioni e di difficile applicazione.

D. D´altra parte, é importante evitare il rischio di una deriva burocratico-formalista che facilmente scivolerebbe su moduli prestampati e/o dichiarazioni preparate da altri invece che dal paziente. Proprio per questo il medico di fiducia, anziché il notaio, dovrebbe essere in grado di aiutare un paziente nell´estensione delle Dichiarazioni anticipate ed esserne il depositario, con opportuna segnalazione e registrazione.

E. E´ importante inoltre precisare la figura e il ruolo del ″fiduciario″. Si tratta di una persona indicata dal paziente stesso per il rispetto delle sue volontá e con il quale sicuramente é piú utile dialogare qualora ci siano delle interpretazioni attuali da fare: é meglio confrontarsi con una persona che con un ″foglio di carta″.

F. Un punto facilmente condiviso e condivisibile é che le Dichiarazioni anticipate debbano rimanere una possibilitá, ossia una libera scelta da parte del paziente, evitando qualsiasi forma di pressione o costrizione a farle. Va anche considerato, alla luce dell´esperienza pluriennale americana, che é prevedibile che solo una limitata percentuale della popolazione esprimerá delle dichiarazioni in anticipo, e quindi rimarrá, in molti casi, la difficoltá di prendere delle decisioni per il bene del paziente, insieme con la famiglia, evitando forme di accanimento e di eutanasia.

G. Rimane aperto il dibattito su alcuni contenuti delle Dichiarazioni, ossia se possano riguardare l´accettazione o il rifiuto di qualsiasi trattamento e assistenza, in particolare per quanto riguarda l´idratazione e la nutrizione artificiale; o se queste pratiche non rientrino nella possibilitá di Dichiarazioni anticipate, essendo oggetto solo di decisione cosciente attuale del paziente.
Sembra ormai necessario arrivare ad una regolamentazione anche nel nostro Paese sulle modalitá di espressione di desideri/volontá riguardanti le decisioni terapeutiche da prendere quando un paziente non sia piú in grado di esprimersi. C´é il pericolo di scivolare verso un aspetto burocratico, come vi é il pericolo di esasperare una certa interpretazione dell´autodeterminazione che va verso l´eutanasia, provocando una crescente tensione tra la volontá del paziente e la coscienza/responsabilitá professionale del Medico. Ma seguendo le indicazioni giá espresse dal Comitato Nazionale di Bioetica si potrebbe giungere ad una legislazione adeguata ai problemi esistenti, connotata piú da conoscenze scientifiche-terapeutiche che da fattori ideologici e politici.

 

Gruppo di Studio ″La cura nella fase terminale della vita″